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Soddisfazione dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria

Bene i nuovi regolamenti della Commissione di vigilanza Rai per contrastare la sotto rappresentazione delle donne in politica

“Finalmente non saranno solo gli uomini gli unici protagonisti delle trasmissioni e servizi che la Rai manderà in onda per la prossima tornata elettorale”. L’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria esprime la sua soddisfazione per i regolamenti appena licenziati dalla Commissione di Vigilanza Rai per le prossime scadenze elettorali che riguarderanno le Europee, le Regioni Piemonte e Abruzzo, e numerose amministrazioni comunali. “Per la prima volta infatti, richiamandosi all’articolo 51 della Costituzione e alla legge 215 del 2012, la Commissione di vigilanza intende contrastare efficacemente la sotto rappresentazione delle donne in politica, e prescrive la più ampia ed equilibrata presenza di entrambi i sessi nelle trasmissioni radio televisive del servizio pubblico.

Non più solo parità di accesso a tutte le forze politiche ma – sottolinea l’Accordo – anche alle donne e agli uomini coinvolti nella consultazione elettorale. Un risultato ottenuto grazie al lavoro di squadra tra l’Accordo, la senatrice Laura Puppato e la deputata Paola De Micheli che, con il loro lavoro, sono riuscite a coinvolgere su questa battaglia di pari opportunità l’intera Commissione di vigilanza Rai , che, lo ricordiamo, conta solo 7 donne su 40 componenti e nessuna donna nel comitato di presidenza.

“L’Accordo è fiducioso che l’Autorità di garanzia per le telecomunicazioni si adeguerà agli stessi principi nelle delibere che riguardano le sue funzioni generali di controllo e le competenze sulle altre trasmissioni radiotelevisive”.

Le Firmatarie dell’Accordo

Roma, 4 aprile 2014

Rif. Daniela Carlà – danielacarla2@gmail.com – Roberta Morroni – morronir@libero.it

Policy (o politica) di genere in RAI

Policy aziendale in materia di genere

La presidente della RAI Anna Maria Tarantola ha inviato alla Rete per la Parità la notizia di una iniziativa che la Rai ha adottato per la valorizzazione della donna e l’affermazione della sua dignità.

Ecco una parte della comunicazione:
“Si tratta di una policy di genere che la Rai ha ritenuto di adottare autonomamente; Rai è così il primo Servizio Pubblico europeo che recepisce formalmente le raccomandazioni formulate dal Consiglio d’Europa ai media con riferimento alla corretta rappresentazione della figura femminile, all’equilibrio di genere nonché alla prevenzione e alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne.
Ritengo che anche questo sia un modo per perseguire con responsabilità la missione di Servizio Pubblico.

Cordialmente,
Anna Maria Tarantola”

Commento della redazione : “se son rose fioriranno”
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Il corpo delle donne: perché da mezzo di rivendicazione è diventato merce in saldo?

Il destino toccato al corpo e alla sessualità femminile all’interno del rapporto di potere tra i sessi, tra sessualità e amore, mercato e vita intima
Il corpo delle donne: perché da mezzo di rivendicazione è diventato merce in saldo?
di Lea Melandri

Negli ultimi giorni il problema della prostituzione è tornato al centro dell’interesse pubblico: in Francia con la proposta di legge sul modello svedese che prevede per il cliente una multa di 1500 euro, in Italia per la vicenda delle due liceali che si prostituivano in lussuosi appartamenti romani. Gli interrogativi sono sempre gli stessi, così come la contrapposizione tra chi vorrebbe abolirla e chi vorrebbe fosse considerata un lavoro come gli altri. La novità, caso mai, è quella a cui è dedicato l’interessante studio di Giorgia Serughetti – Uomini che pagano le donne (edizioni Ediesse 2013)-, “la nascita di una questione relativa agli uomini clienti”, il bisogno di comprendere “i modelli di mascolinità nuovi o tradizionali che la alimentano”.

Provo ad elencare alcune delle domande ricorrenti:

  • la prostituzione è un lavoro come un altro, per cui va regolato (diritti, doveri, ecc.)? Non è la soluzione –dicono alcuni- ma una “riduzione del danno”, una misura che restituendo dignità a chi la pratica combatte la discriminazione e lo stigma;
  • escludendo la “tratta” nelle sue forme estreme di schiavitù, quanto si può parlare di libertà di scelta? Quanto incidono le leggi nel prevenire e combattere il fenomeno?
  • che rapporto c’è con altre forme di violenza che le donne subiscono (stupri, maltrattamenti, omicidi in ambito domestico)?
  • La tendenza generale -a cui non sfugge neanche l’opinione di una “vecchia femminista degli anni Settanta”, come Elisabeth Badinter- è di collocare il fenomeno su due versanti opposti: da un lato, sfruttamento, racket, business, dall’altro, lavoro, libertà delle donne di “disporre consapevolmente e senza costrizioni del proprio corpo”.
  • Come sempre, l’urgenza di dare risposte, promuovere interventi all’apparenza concreti e rassicuranti per i cittadini, impedisce di riportare il problema alla sua radice storica e culturale: il destino toccato al corpo e alla sessualità femminile all’interno del rapporto di potere tra i sessi, le forme con cui si ripresenta oggi l’immaginario maschile di fronte ai cambiamenti avvenuti sulla linea di confine tra privato e pubblico, tra sessualità e amore, mercato e vita intima.

«Lo scambio sesso-economico – scrive Paola Tabet (La grande beffa, Rubbettino 2004)- è un aspetto dei rapporti tra uomini e donne assai più esteso e generale, e quindi non riducibile alla prostituzione». La linea di continuità che in ogni tempo e in ogni cultura ha visto le donne scambiare sessualità con denaro, doni, mantenimento, dentro e fuori il matrimonio, è oggi del tutto evidente in quello che si può considerare un “contesto prostituzionale allargato”. A descriverlo è Giogia Serughetti: «Tra intimità e attività economiche esiste un continuum anziché una dicotomia. Il riferimento è alle molte figure che offrono servizi di cura retribuiti –colf, baby sitter- ma anche surrogati a pagamento dell’intimità sessuale e delle relazioni romantiche. Sono la esperienza di ‘fidanzate a noleggio’, sotto la dicitura di accompagnatrici, sono escort e top escort. Si tratta di servizi che non si limitano al soddisfacimento di impulsi o fantasie sessuali, ma offrono parvenza di un corteggiamento, di un rapporto di cura affettivo e sentimentale».

Possiamo parlare di interni postdomestici ridisegnati dal mercato in modo tale che la domesticità coniugale vi si rifletta depurandosi però al tempo stesso da ogni vincolo o onere relazionale (…) Le trasformazioni in corso sul mercato del sesso paiono dunque funzionali alla conservazione e all’esercizio di un potere maschile imperniato sull’accesso ai corpi delle donne, o più propriamente alla loro disponibilità, complicità e cura affettiva”. “Sulle pareti urbane troneggiano corpi femminili rappresentati con gli stilemi un un linguaggio che richiama l’esplicita offerta di servizi sessuali. Il piacere maschile resta quindi un principio organizzatore degli spazi del consumo.”
Il corto circuito tra casa- scuola- appartamento dove si fa della vendita del proprio corpo un’impresa redditizia, colpisce ovviamente di più quando le protagoniste sono ragazze giovani, non condizionate dal bisogno economico. Ma il rischio è che sia paradossalmente meno inquietante dire che si è di fronte a un’azione delittuosa –quale è lo sfruttamento della prostituzione minorile- che non chiedersi in quale ambiguità stiano precipitando le relazioni tra uomini e donne, attraversate da residui di antiche schiavitù e prospettive di libertà finora sconosciute, da condizionamenti che vengono da lontano, e di cui si ha scarsa consapevolezza, e spinte a gettarsi il passato alle spalle, come si fa con le mode e con le infinite sollecitazioni del consumo.

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La presidente della Camera Laura Boldrini e il ruolo delle donne in Tv

Dal sito della Camera
http://presidente.camera.it/5?evento=152&intervento=152

Convegno sul tema ‘La violenza sulle donne è un’emergenza. L’immagine e il potere. Istituzioni e media verso il cambiamento’ – Milano, Aula Magna Camera del Lavoro

Buongiorno a tutte e a tutti. Vorrei ringraziare innanzitutto gli organizzatori e le organizzatrici di questo importante incontro:la Camera del Lavoro di Milano, la Cgil,le associazioni di donne milanesi che hanno portato qui stamattina un lavoro di anni. Venerdì e sabato scorsi sono stata in Calabria: per portare il mio sostegno alle sindache in lotta contro la ‘ndrangheta, agli imprenditori che vivono sotto scorta, e per ricordare – in mezzo a centinaia di giovanissimi “nuovi italiani” – che il nostro Paese è pronto per fare un passo avanti sul riconoscimento della cittadinanza. Ve ne parlo perché durante la visita ho vissuto uno dei momenti per me più difficili di questi primi mesi da Presidente.

È stato quando, nell’ufficio della sindaca di Rosarno, ho potuto incontrare i genitori di Fabiana Luzzi, la ragazza non ancora sedicenne bruciata viva da un suo quasi-coetaneo a Corigliano Calabro, alla fine di maggio. Quelli della sua uccisione erano i giorni e le ore in cui la Camera stava ratificando all’unanimità la Convenzione di Istanbul: a Fabiana molti deputati e deputate avevano dedicato il loro intervento, e l’aula si era fermata per ricordarla.

Trovarsi a parlare coi suoi genitori è stato aver di fronte e sentire lo strazio più grande che a un essere umano possa essere dato di vivere. Ripenso alla domanda che mi ha fatto la madre, mentre riponeva le bellissime foto di Fabiana che mi aveva appena mostrato: “Mi dica, Presidente: ma come si può portare una figlia in una borsa?”

Vorrei che tenessimo bene a mente – soprattutto noi delle istituzioni – quel dolore, quando sentiamo i dati sul femminicidio. Già 60 sono state le donne uccise dall’inizio dell’anno nel nostro Paese. Una strage – di questo si tratta – che prosegue inesorabile, metodica, indisturbata: il rapporto Eures dice che tra il 2000 e il 2011 i femminicidi in Italia sono stati 2061, su un totale di 7440 omicidi. E di questi 2061, ben 1459 sono stati quelli maturati in ambito familiare. Un'”emergenza”, se con questa parola si intende un fenomeno gravissimo;ma non se si intende qualcosa di inaspettato, imprevedibile, perché gran parte dele donne uccise aveva già fatto una denuncia. Donne uccise in quanto donne, perché la loro autonomia è stata ritenuta insopportabile da mariti, compagni, fidanzati, ex-fidanzati.

Di questo parliamo, quando parliamo di femminicidio. Una parola nuova, per esprimere una nuova consapevolezza. Lo ha detto qualche settimana fa sul suo sito l’Accademia della Crusca, rispondendo a chi chiedeva se avesse senso sottolineare nel linguaggio il sesso di una vittima. Il fatto è – scrive l’Accademia – che alla base di questi delitti “c’è la concezione condivisa della “femmina” come un nulla sociale. Insomma non si tratta dell’omicidio di una persona di sesso femminile, a cui possono essere riconosciute aggravanti individuali, ma di un delitto che trova i suoi profondi motivi in una cultura dura a rinnovarsi e in istituzioni che ancora la rispecchiano, almeno in parte”.
La cultura e le istituzioni: questi i due piani di azione sui quali dobbiamo muoverci. Quello culturale e sociale, e poi quello normativo e istituzionale. A me, nella responsabilità che da quattro mesi esercito, compete soprattutto occuparmi del secondo livello. Ma so bene che nessuna nuova norma ha senso se non cammina insieme ad un profondo cambiamento del nostro modo di pensare, parlare, guardare.

Parto da qui, dunque, dal livello culturale. Perché il rispetto della donna è un fatto che passa anche dall’uso della lingua e dell’immagine. Faccio appena un accenno all’uso sessista della lingua. Ogni volta che si deve offendere una donna è immancabile il riferimento ai presunti comportamenti sessuali della stessa. Qualunque sia il ceto sociale di appartenenza, qualunque sia il grado di istruzione, qualunque sia la natura della discussione, l’uomo (anche giovane, purtroppo) di norma non ribatte sullo stesso terreno, ma sposta il piano su quello dell’offesa sessuale. Non è solo una mia constatazione. È la Corte di cassazione che lo afferma, in una sentenza dello scorso mese di gennaio. L’ho menzionata perché “porre le donne in condizione di marginalità e minorità” – come dice la sentenza – è uno degli effetti che ha ottenuto e ottiene parte della comunicazione.

Il gioco lo abbiamo capito e svelato. La denuncia fatta riguardo all’uso offensivo del “corpo delle donne” (cito anche io il video di Lorella Zanardo) è stata uno dei segni di risveglio più potenti arrivati dalla società italiana di questi anni. La denuncia di uno stereotipo di donna del tutto irrealistico e regressivo, esasperato nelle sue caratteristiche femminili, persino modificato con le più sofisticate tecnologie di ritocco dell’immagine, per cui talvolta capita – con effetti involontariamente paradossali – che le proporzioni del corpo siano totalmente innaturali. Un corpo che diventa un oggetto di visione, decorativo, allusivo e ammiccante, mercificato e degradato.
“Sii bella e stai zitta”, come dice il titolo di un libro della filosofa Michela Marzano, deputata in questa legislatura. Un oggetto – non un soggetto – al pari dei prodotti di cui promuove la vendita. Torno a sottolinearlo, come ho già fatto in questi mesi: è una nostra negativa anomalia, questa deformazione pubblicitaria della donna. In giro per l’Europa non è abituale usare donne seminude per vendere yogurt, televisori, valige.

Così come sarebbe difficile vedere in onda uno spot in cui papà e bambini stanno seduti a tavola, mentre la mamma in piedi serve tutti.

Per chi giustamente si preoccupa dell’immagine internazionale dell’Italia, queste immagini sono un problema. Come donne lo sappiamo. Ma la soluzione non si troverà finché saranno solo le donne a discuterne; finché non si comprenderà che il problema della sottorappresentazione e della rappresentazione offensiva della donna ha una dimensione maschile – di educazione al rispetto – che riguarda in primo luogo gli uomini. Questa rappresentazione regressiva della donna, infatti, è un ostacolo alla complessiva maturazione della società, specialmente nella sua componente maschile, a sua volta prigioniera di immagini e modelli del tutto irrealistici. Ed è anche nello scarto tra questi stereotipi e la carenza di strumenti culturali per elaborare una realtà quotidiana spesso difficile, che si annidano i germi del rancore e della violenza.

Come uscirne, come concorrere a produrre una nuova cultura? Innanzitutto nel dialogo tra i diversi soggetti coinvolti, come state facendo con l’iniziativa di oggi. Mettere a confronto con le voci della società civile le donne e gli uomini che creano pubblicità e fanno televisione, e tra i quali si stanno facendo strada – come abbiamo sentito anche stamattina – le domande che tante donne hanno posto da anni. Lo ricordava qualche giorno fa, proprio qui a Milano, Annamaria Testa all’Assemblea annuale dell’UPA (Utenti pubblicità associati, l’organismo che riunisce le più importanti aziende che investono in pubblicità): «educare non è compito della pubblicità. Devono farlo le famiglie, la scuola, le istituzioni. Ma – aggiungeva – la pubblicità può e oggi forse dovrebbe dare una mano, proprio perché è così efficace».

E per aiutarci a rappresentare più fedelmente l’universo femminile può fare moltissimo anche la tv, in un Paese in cui la televisione costituisce ancora la prima fonte di informazione e intrattenimento per la gran parte dei cittadini. In particolare la televisione di servizio pubblico, il cui pluralismo non può essere soltanto quello (pur essenziale) della equilibrata presenza delle forze politiche. C’è una par condicio che viene violata assai più frequentemente, ed è quella tra i generi e la loro rappresentazione. Qualche segnale importante però sta arrivando: penso alla decisione della Rai di rinunciare quest’anno a Miss Italia, per la quale ho già espresso il mio apprezzamento alla Presidente Tarantola. Qualcuno si è lamentato di questa scelta,come se si trattasse dell’imposizione di un clima di austerità cupa e bacchettona.

Io credo invece che ci si debba rallegrare di una scelta moderna e civile, e spero che le ragazze italiane possano avere, per farsi apprezzare, altre possibilità (anche televisive) che non quella di sfilare numerate. E mi auguro che il servizio pubblico sappia trovare anche forme di collaborazione con la scuola italiana proprio sul tema che oggi stiamo affrontando. Perché c’è bisogno di far crescere i nostri ragazzi anche nella capacità di decifrare i messaggi dei media, di “smontare” gli spot e i programmi dei quali sono intensi consumatori. C’è bisogno di ragionare insieme a loro sul modello di donna-oggetto che dallo schermo insistentemente viene proposto. Anche per questa via si può insegnar loro il rispetto delle coetanee ed evitare che diventino adulti violenti. Perché, se la donna viene resa oggetto, da lì alla violenza il passo è breve.

L’altro piano di intervento è il piano normativo e istituzionale, ed è quello sul quale, come Presidente della Camera, sono chiamata all’impegno più diretto.

Con la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza domestica un primo importantissimo passo è già stato mosso. Ora bisogna costruire un quadro giuridico coerente, partendo dalla conoscenza e dalla diffusione delle regole che già esistono.

In primo luogo, le regole europee. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta qualunque forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso. In modo più diretto era intervenuta, già nel 1989, la c.d. direttiva “Televisione senza frontiere”, poi rafforzata da una direttiva successiva. E ancora più esplicita è la risoluzione approvata dal Parlamento europeo nel 2008 e interamente dedicata all’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra uomini e donne. “La pubblicità e il marketing riflettono la cultura e contribuiscono altresì a crearla”, dice l’Europarlamento, e chiede perciò codici di condotta che proibiscano messaggi discriminatori o degradanti basati sugli stereotipi di genere. L’Europa ci chiede anche questo, non soltanto di essere in regola coi parametri finanziari.

In Italia mancano ad oggi leggi specifiche, nonostante la Costituzione offra, in più articoli, un solido ancoraggio all’intervento del legislatore a tutela dell’immagine e della dignità della donna. L’unica norma statale alla quale è possibile fare attualmente riferimento si trova nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Tra i suoi principi generali c’è quello per cui le pubblicità non devono pregiudicare il rispetto della dignità umana e non devono contenere discriminazioni fondate sul sesso. Su tali principi, come è noto, è chiamata a vigilare l’Autorità garante per le comunicazioni.

E’ chiaro che, in assenza di una legge, ci sono stati interventi di supplenza. Un esempio è il Codice di Autodisciplina della Comunicazione commerciale, promosso dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, che ha recepito i contenuti della risoluzione del Parlamento europeo del 2008. Non mancano, d’altro canto, esempi di buone pratiche da parte degli enti locali. Cito per tutti la legge del 2009 della Toscana sulla “Cittadinanza di genere”, con la quale la Regione intende attivarsi anche per eliminare gli stereotipi. E decisamente significative sono le esperienze maturate a livello comunale. Ho sentito e apprezzato il gran lavoro che proprio qui a Milano avete fatto, e che due settimane fa ha portato la Giunta di Palazzo Marino ad approvare le nuove regole per la valutazione dei messaggi da affiggere sugli spazi in carico all’Amministrazione comunale.

Questi provvedimenti hanno una valenza particolarmente importante, perché sono il frutto di un rinnovato impegno da parte delle donne, che tornano ad essere protagoniste. Non è censura moralistica, come qualcuno ha tentato e tenterà di affermare, ma è una battaglia per la libertà e l’inviolabilità della persona.

E sono importanti anche perché sollecitano il Parlamento ad adottare una legislazione condivisa. Il tempo è maturo per pensare ad una legge basata sui princìpi forti espressi dalla nostra Costituzione e dal diritto europeo. Ad oggi sono state già presentate alla Camera due proposte di legge (sulla pubblicità ingannevole che altera l’apparenza fisica e sulla tutela della dignità della donna nella pubblicità e nella comunicazione). Analoghe iniziative sono state presentate al Senato. Spero, anzi credo, che un Parlamento composto in larga parte da giovani,e con una rappresentanza femminile decisamente più significativa rispetto al passato, vorrà farsi carico di mettere il tema in agenda e di fare un altro passo in avanti nella tutela della dignità delle donne.

Lo dobbiamo a Fabiana, lo dobbiamo alle tante donne che non ci sono più, lo dobbiamo a noi stesse.

Interrogazione urgente di Monica Cirinnà per il rispetto della “par condicio di genere”

Interrogazione urgente di Monica Cirinnà per il rispetto della “par condicio di genere”.

Presentata il 22 maggio un’interrogazione urgente da parte della senatrice Monica Cirinnà per ottenere il rispetto della par condicio di genere, secondo le richieste dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria, Interrogazione n3-00076-parità di genere in tv, con la collaborazione della Rete per la Parità e dell’avv. Antonella Anselmo, che sin dall’inizio e costantemente in ogni tappa ci ha affiancato per la parte tecnica.

La campagna elettorale è agli sgoccioli, ma c’è ancora qualche settimana per i comuni in cui si andrà al ballottaggio e per quelli siciliani.

La par condicio di genere, introdotta dalla legge 215 del 2012 (più conosciuta per la grande novità della doppia preferenza di genere nelle elezioni amministrative), va rispettata nella comunicazione politica anche quando non sono in corso campagne elettorali.

Soprattutto stiamo cercando di creare le premesse perché le resistenze verso queste nuove norme non si ripetano in occasione delle future scadenze elettorali.

Ecco il comunicato di Monica Cirinnà:PAR CONDICIO: CIRINNA’, VIOLATA PARITA’ DI GENERE, INTERVENGA GOVERNO E AGCOM

“Ministri competenti e l’Agcom facciano rispettare la par condicio della presenza di genere nelle trasmissioni televisive”. A chiederlo è la senatrice del Pd Monica Cirinnà con un’interrogazione al ministro dello Sviluppo economico e a quello delle Pari opportunità.

Nonostante la legge preveda la possibilità nelle elezioni locali di esprimere la doppia preferenza di genere – spiega – persiste nelle trasmissioni di approfondimento politico, televisive e radiofoniche, la pratica scorretta di far partecipare ai dibattiti un numero esiguo di donne. Una palese violazione della par condicio di genere che si registra anche nei maggiori talk show politici delle emittenti pubbliche e private”.

“Ricordo – aggiunge – che dal 26 dicembre del 2012, i mezzi di informazione sono tenuti, senza eccezione di sorta, al rispetto dei principi di cui all’articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini. Un impegno che non è stato rispettato ove l’AGCOM, nonostante il chiaro disposto legislativo, ha continuato ad ignorarne le palesi violazioni nonostante siano in corso le campagne elettorali per l’elezione diretta dei Sindaci e dei Consigli Comunali nonché dei Consigli Circoscrizionali”.

“E’ necessario inoltre – sottolinea – che la RAI in ottemperanza al contratto di servizio, pur in assenza di specifico regolamento emanato dal Parlamento, assicuri comunque un’equilibrata rappresentanza di genere tra le presenze e pubblichi i dati di genere sul sito raiparlamento.it, rendendo consultabili sia i risultati quotidiani del monitoraggio che quelli settimanali”.

“E’ indispensabile – conclude Cirinnà – un intervento tempestivo dei ministri interessati e dell’Agcom affinchè il sistema dell’emittenza radiofonica e televisiva, pubblica e privata, rispettino i principi fondamentali della par condicio, anche nella rappresentanza di genere”.

Allegato Interrogazione in pdf

Quegli uomini che dominano in tv

I programmi in prima serata quasi senza donne mentre nei Tg Rai 9 presenze su 10 sono maschili. E l’Agcom le dimentica nel Regolamento.

di Flavia Amabile

Tutti conoscono la «par condicio» politica, quella che impone un eguale trattamento tra i partiti nelle loro presenze in tv in modo da evitare differenze troppo marcate nella loro visibilità. Da quest’anno è obbligatoria anche la «par condicio di genere», e quindi è necessario garantire pari opportunità nei programmi televisivi tra donne e uomini. È l’effetto di una modifica della legge storica sulla «par condicio» del 2000, entrata in vigore il 26 dicembre scorso.

Complice le vacanze di Natale, o chissà che altro, la modifica non era stata inserita nel Regolamento applicativo diffuso il 4 gennaio dall’Agcom, l’Autorità per le Comunicazioni.

Sono dovuti passare undici giorni ed è stata necessaria una lettera di protesta per veder porre rimedio alla mancanza con una circolare che ricordava la nuova norma. Ci si sarebbe aspettati un adeguamento da parte delle emittenti televisive, la parità dietro lo schermo.

«Invece, nulla», denuncia Rosanna Oliva, presidente della Rete per la Parità e fondatrice di «Aspettare stanca», due delle 50 associazioni firmatarie dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria che hanno inviato la lettera di protesta all’Agcom e che stanno lavorando per ottenere «par condicio» nelle candidature e nei programmi televisivi.

E quando Rosanna Oliva dice «nulla», non è solo un modo di dire. Non solo era stata dimenticata la nuova norma ma non vengono nemmeno pubblicati i dati sulle presenze donne/uomini in tv, come sarebbe previsto. «Non abbiamo fatto in tempo – fanno sapere dall’Agcom – i dati saranno pubblicati tutti alla fine della campagna elettorale. E comunque l’obbligo non esiste».

Le associazioni di donne non sono d’accordo e anche su questo punto annunciano battaglia e pretenderanno la diffusione dei dati a partire almeno da febbraio. Finora, quindi, esiste un solo dato ufficiale sulle presenza di donne in tv in quest’inizio di campagna elettorale, arriva dall’Osservatorio di Pavia e si riferisce ai soli programmi della Rai. Agli uomini va il 96, 1% delle presenze durante i tg e il 76.8% durante i talk show. Dati decisamente desolanti.

Dalla rilevazione effettuata dalla Stampa sui principali programmi di approfondimento serale, da Porta a Porta a Ballarò e Servizio Pubblico risulta che, ad esempio, Bruno Vespa abbia realizzato sette puntate dal 12 al 21 gennaio con una sola donna ospite prima di ravvedersi e prevedere una serata di «mea culpa» con sole donne in studio. Italia Domanda, la trasmissione di Canale 5, trasmette tre puntate con soli uomini e alla quarta il 23 gennaio invita anche una donna, Linda Lanzillotta, insieme con cinque uomini. Servizio Pubblico di Michele Santoro fa informazione senza donne per le prime due puntate alla terza (non a caso il 24 gennaio) si adegua e invita due donne, Mara Carfagna e Lara Comi. A Ballarò, nelle tre puntate trasmesse, si salvano grazie alla presenza di economiste, sindacaliste e giornaliste, ma la presenza femminile politica in senso stretto è irrilevante.

Aggiornamenti sulla par condicio di genere

ELEZIONI NAZIONALI E REGIONALI E PAR CONDICIO DI GENERE RADIO- TV

GENNAIO 2013

La Rete per la Parità in questi giorni, in collaborazione con Aspettare stanca, sta svolgendo un lavoro molto importante, che amplia i suoi effetti perché inserito nel quadro dell’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria, al quale entrambe le associazioni hanno aderito.

1. Donne nelle liste elettorali. Come avrete notato, in seguito alle continue pressioni esercitate dalle associazioni in questi anni, diversi partiti, anche in assenza di norme di garanzia di genere (le cosiddette quote rosa) hanno dato uno spazio maggiore alle donne nelle liste elettorali. Un risultato di cui dobbiamo essere molto contente, anche se dobbiamo constatarne i limiti: non tutti i partiti sono stati sensibili, non sempre sono trasparenti i criteri di scelta, e non sempre le donne sono in posizioni favorevoli a una loro effettiva elezione. C’è poi la questione di quale rapporto costruire tra le donne elettrici e le candidate e elette. Un passo in tal senso è l’importante evento del 28 gennaio (Roma) di incontro pubblico con le candidate, costruito dalle 50 associazioni dell’Accordo, di cui la Rete per la Parità fa parte.

2. Candidate e par condicio di genere nelle emissione radiotelevisive. C’è un altro aspetto molto importante: la questione della visibilità delle candidate. E’ stato necessario un lavoro approfondito per superare i mille ostacoli a una presenza effettiva e paritaria delle donne nei programmi radiotelevisivi in periodo elettorale, a livello nazionale, regionale e comunale. Anche qui vanno registrati dei buoni risultati, ma occorre ancora impegnarsi per rendere effettivi diritti altrimenti destinati a restare inapplicati:

Tra i risultati ottenuti grazie alle battaglie fatte:

  • La legge 28 del 2000 sulla “par condicio” prevede ora anche la pari opportunità tra uomini e donne (art. 4 della legge 215 del 2012 )
  • Il recepimento del principio nel Regolamento emanato dalla Commissione di vigilanza RAI.
  • l’Autorità per le Garanzie nella Comunicazione (AGCOM), che ha il compito istituzionale di vigilare sulle violazioni alla par condicio nei media, il 15 gennaio 2013 ha emanato una Circolare per la par condicio di genere.

In senso più generale, è importante ricordare la Sentenza della Corte Costituzionale (n. 155 del 2002): la par condicio non è prevista per assicurare equa-presenza ai partiti, ma per garantire il diritto alla completa e obiettiva informazione dei cittadino.

Punti critici ancora non risolti

L’AGCOM non pubblica sul sito i dati di genere nei monitoraggi che per legge è obbligata a fare, impedendo così la verifica settimanale di quanto spazio è stato effettivamente dato alle candidate e, di conseguenza, omettendo le diffide al riequilibrio e l’applicazione delle sanzioni in caso di inosservanza alle stesse. La cosa è particolarmente importante per le prossime elezioni regionali dove le leggi elettorali di Lazio, Lombardia, e Molise prevedono un’unica preferenza, e quindi la visibilità è essenziale per le donne candidate per farsi conoscere e apprezzare dall’elettorato.

Di conseguenza anche i Comitati Regionali per le Comunicazioni (CORECOM), che svolgono compiti importanti per il livello locale, omettono una corretta informazione, così come la stampa e i media.

– Continuano le pressioni del’Accordo di azione comune per a democrazia paritaria verso l’AGCOM, allargate anche al Consiglio Nazionale degli utenti (CNU), ai CORECOM e nei confronti dei mass media, perché le nuove disposizioni siano conosciute e rispettate.

In che modo collaborare?
E’ evidente che come associazioni non possiamo immaginare di organizzare un monitoraggio sistematico, come fanno per es. i partiti (trascurando peraltro la questione delle presenze o assenze delle donne). Possiamo però esercitare pressione segnalando il più possibile episodi di non applicazione delle norme o di loro interpretazione anomala (per esempio, come avvenuto di recente, in una puntata di un noto Talk Show invitare solo donne e alla successiva solo uomini) Quando si riscontra una sottorappresentazione delle donne in una trasmissione radiofonica o televisiva, in emittenti pubbliche o private, scaricate dal sito della Rete per la Parità http://www.reteperlaparita.org/wp/?p=894 o dal Blog di Aspettare stanca http://aspettarestanca.wordpress.com/2013/01/24/per-il-rispetto-della-par-condicio/, il modulo che abbiamo predisposto e le istruzioni per trasmetterlo, in modo da attivarvi e far attivare altre persone e associazioni per il rispetto della par condicio di genere.

Il modulo. indirizzato all’AGCOM agcom@cert.agcom.it – va inviato anche a parcondicio@agcom.it, al CORECOM competente (gli indirizzi si trovano sul sito dell’AGCOM)
e in cc anche a Rete per la Parità segreteria.reteperlaparita@gmail.com

e Noi rete donne mrodano4@gmail.com

NB Nel caso di trasmissioni della RAI TV la mail con il modulo va inviato anche alla
Commissione di Vigilanza RAI vigilanzarai@senato.it

Denuncia di violazione delle disposizioni previste dalle delibere n. 666/12/CONS e n.13/13/13/CONS ai sensi della legge 23 novembre 2012 n.215 recante “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei Consigli e nelle Giunte degli Enti Locali e nei Consigli Regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle Pubbliche Amministrazioni.”

LA DENUNCIA DEVE ESSERE COMPILATA IN TUTTE LE SUE PARTI

All’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – Direzione contenuti audiovisivi e multimediali – Centro direzionale isola B5 – 80143 Napoli – fax n. 081/750706 – agcom@cert.agcom.it

 Al Corecom della regione / provincia autonoma di _________________________________

Dati del segnalante

Nome e cognome

Residenza/Sede (via/piazza — n. –)

Città (cap)

Fax

E-mail

Recapito telefonico (fisso o mobile)

Denuncia

Emittente o fornitore di servizi di media

Denominazione programma

gg/mm/aa e orario 00:00

Descrizione del fatto:

Luogo e data Firma della/del segnalante

___________ ____________

Segnalazioni del mancato rispetto della par condicio di genere

ACCORDO DI AZIONE COMUNE PER LA DEMOCRAZIA PARITARIA
Segnalazioni del mancato rispetto della par condicio di genere

Invitiamo le associazioni, le singole socie e chiunque sia interessato, ad attivarsi per promuovere una pressione sull’AGCOM per il rispetto della parcondicio di genere nei programmi radiotelevisivi durante questa campagna elettorale.
E’ molto importante per rendere efficace la presenza delle donne candidate.

Quando si vede una situazione di disparità (invitati solo uomini o una sola donna tra tanti uomini, ecc) mandare via mail la segnalazione USANDO IL MODULO che segue

Nel caso di trasmissioni della RAI TV la mail con il modulo va inviato anche alla Commissione di Vigilanza RAI vigilanzarai@senato.it

L’uso del modulo e l’invio come suggerito rendono formale la segnalazione, dovrebbero attivare le azioni dell’AGCOM, e permetteranno all’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria di verificare quanta pressione stiamo esercitando.

Da parte nostra stiamo insistendo per la diffusione di tabelle di monitoraggio contenenti i dati di genere, che ancora ad oggi non risultano sul sito dell’AGCOM.

Contro ritardi ed omissioni dobbiamo agire insieme e con determinazione.
Daniela Carlà e Rosanna Oliva
Roma, 23 gennaio 2013

Denuncia di violazione delle disposizioni previste dalle delibere n. 666/12/CONS e n.13/13/13/CONS ai sensi della legge 23 novembre 2012 n.215 recante “Disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei Consigli e nelle Giunte degli Enti Locali e nei Consigli Regionali. Disposizioni in materia di pari opportunità nella composizione delle commissioni di concorso nelle Pubbliche Amministrazioni.”

LA DENUNCIA DEVE ESSERE COMPILATA IN TUTTE LE SUE PARTI

 All’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – Direzione contenuti audiovisivi e multimediali – Centro direzionale isola B5 – 80143 Napoli – fax n. 081/750706 – agcom@cert.agcom.it

 Al Corecom della regione / provincia autonoma di _________________________________

Dati del segnalante

Nome e cognome

Residenza/Sede (via/piazza — n. –)

Città (cap)

Fax

E-mail

Recapito telefonico (fisso o mobile)

Denuncia

Emittente o fornitore di servizi di media

Denominazione programma

gg/mm/aa e orario 00:00

Descrizione del fatto:

Luogo e data Firma della/del segnalante

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