Quirinale, votano solo 6 donne su 58 tra i delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica
di Rosanna Oliva de Conciliis* Pubblicato su La 27esima Ora
II 18 gennaio si sono concluse le elezioni da parte dei Consigli regionali dei 58 delegati che costituiranno, insieme con il Parlamento, l’Assemblea chiamata al voto il 24 gennaio per il prossimo presidente della Repubblica. Le delegate sono 6 su 58, pari al 10,34% (qui, nell’ultima analisi curata da Daniela Domenici che ha raccolto i dati di genere, i nomi e partiti dei delegati e delle delegate regionali).
Per prassi consolidata i grandi elettori sono scelti in base alla carica ricoperta in sede regionale e, come avviene ogni volta che si considerano le funzioni di vertice nei vari ambiti, troviamo un quadro interamente o prevalentemente maschile.
La scarsa presenza di donne delegate è la fotografia di ciò che abbiamo nelle Regioni: i presidenti delle Giunte (salvo la presidente dell’Umbria) e i presidenti dei Consiglio (salvo nelle Regioni Emilia- Romagna e Puglia) sono tutti uomini (Presidenti Giunte e Consigli regionali).
Norme di garanzia di genere
Non può passare sotto silenzio che nell’Assemblea che eleggerà il presidente della Repubblica avranno pari diritto di voto i componenti di una parte, quella parlamentare, eletti mediante un sistema elettorale che prevede norme di garanzia di genere (Legge 3 novembre 2017, n. 165 “Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.”) e un’altra, quella regionale, la cui elezione si fonda sull’art. 83, comma 2 Cost., che non contiene analoghe norme per garantire l’equilibrio di genere. Appare evidente che ènecessaria la riforma del sopracitato comma 2 dell’articolo 83 della Costituzione per modificare in tutte le Regioni le norme per l’elezione dei delegati e delle delegate regionali. Una modifica che avrebbe un effetto diretto e cogente, diversamente da quelle intervenute nel tempo agli articoli 51 e 117 della Costituzione che hanno necessariamente rimandato a leggi ordinarie nazionali o regionali. L’esperienza di questi anni segna il cammino da percorrere. Un cammino che iniziamo con l’amarezza di chi conosce bene di quanti ostacoli sia disseminato finché prevarrà̀ nei luoghi decisionali, e in particolare nelle assemblee elettive nazionali e locali, una maggioranza di uomini controinteressati a disposizioni che introducono norme di garanzia di genere (le cosiddette quote rosa).
Uguaglianza non raggiunta
Suscita sdegno dover constatare che ancora, a oltre 73 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, l’uguaglianza formale e sostanziale tra i sessi non è stata raggiunta e non è rispettato il principio fondamentale sancito dall’articolo 3, ribadito dal sopracitato articolo 51 per l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive e, per il livello regionale, dal sopracitato art. 117. Si tratta di disposizioni ulteriormente rafforzate dalle integrazioni all’articolo 51 contenute nella Legge costituzionale n.1/2003: “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini per l’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive” e all’articolo 117 con la Legge costituzionale n. 3/2001: “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”.
Una legge ordinaria non basta
Per eliminare questo deprecabile vulnus all’uguaglianza tra i sessi per le future elezioni del presidente della Repubblica, non basterebbe una legge ordinaria, come dimostrato dallo scarso effetto della Legge n. 20 del 15 febbraio 2016 che ha modificato l’art. 4 della Legge n° 165/2004e non è riuscita a far introdurre, in modo omogeneo, in tutte le Regioni norme di garanzia di genere, qualunque sia il sistema elettorale adottato. Alcune Regioni si sono opposte e si appellano alla loro autonomia. Un’autonomia che però non è assoluta, come non lo èquella del Parlamento, perché l’articolo 117 Cost. dispone che la potestà legislativa sia esercitata dallo Stato e dalle Regioni “nel rispetto della Costituzione, nonché́ dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Non basterebbe, quindi, una legge nazionale ordinaria e una iniziativa Regione per Regione avrebbe tempi lunghi, come dimostrato da quella per far inserire la doppia preferenza e la par condicio di genere nelle leggi elettorali regionali, ancora non conclusa a dodici anni di distanza. Una vicenda esemplare, da far conoscere, in cui la prima tappa fu raggiunta nel 2009, con l’approvazione della legge regionale della Campania che introdusse la doppia preferenza di genere e la par condicio nelle campagne elettorali (Vedi Art.4, comma 3, della L.R. Campania n.4 del 2009).
Il movimento delle donne
Da allora la mobilitazione del movimento delle donne è stata costante, come costante è stato l’impegno della Rete per la Parità e DonneinQuota. Eppure sono ancora inadempienti le Regioni autonome a statuto speciale Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, nonché il Piemonte, nonostante le sopracitate norme costituzionali (articoli 3, 51 e 117) e la legge n° 20/2016. A riprova della pervicacia maschilista e del sessismo imperante, il 24 marzo 2021 il Consiglio del Friuli-Venezia Giulia (solo 6 donne su 49 consiglieri) ha bocciato ancora una volta, a distanza di due anni, la proposta di introdurre la doppia preferenza di genere. E va ricordato quanto accaduto in Liguria, Puglia e Calabria, dove l’impegno pluriennale di un movimento civico e trasversale delle donne in politica, delle associazioni e delle parti sociali, non sarebbe riuscito a produrre alcun risultato senza la diffida e l’intervento nel 2020 del Governo con i propri poteri sostitutivi (Decreto Legge). I risultati finora ottenuti, grazie a sentenze della Corte costituzionale e per l’impegno del movimento delle donne, non hanno ancora coperto tutti gli ambiti, come dimostrato proprio dalla questione che stiamo esaminando, tra l’altro finora poco approfondita anche in dottrina.
Par condicio di genere
Altro esempio di ostacoli è quello della scarsa efficacia della norma ottenuta nel 2012 per la cosiddetta par condicio di genere. Una norma che ha lo scopo di equilibrare la presenza di uomini e donne nei mass media durante le campagne elettorali, introdotta con la Legge n. 215 del 2012 che ha aggiunto nella Legge n. 28/2000 sulla par condicio politica all’articolo 1 il comma 2-bis: “Ai fini dell’applicazione della presente legge, i mezzi di informazione, nell’ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di cui all’articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini”. Negli anni, purtroppo, si sono ridimensionate le aspettative collegate a questa norma, approvata grazie all’impegno delle parlamentari e alle pressioni del movimento delle donne.
Proposta di legge costituzionale
In conclusione, solo la riforma del sopracitato articolo 83, comma 2 della Costituzione potrebbe modificare in tutte le Regioni il sistema di elezione dei delegati e delle delegate, garantendo anche in questo ambito l’equilibrio di genere. L’iter dell’approvazione èlungo e forse non si può sperare nel completamento in questa Legislatura ma è bene tener presente che alla Camera è in corso di avanzata discussione una proposta di legge costituzionale (Atto Camera 2238: “Modifiche agli articoli 57 e 83 della Costituzione, in materia di base territoriale per l’elezione del Senato della Repubblica e di riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica”). I firmatari sono: Federico Fornaro, Maria Elena Boschi, Graziano Delrio, Renate Gebhard, Francesco Silvestri, Stefano Ceccanti, Marco Di Maio, Anna Macina. L’articolo 2 della proposta, presentata per adeguare alla riduzione del numero dei parlamentari la normativa del sopracitato articolo 83, comma 2, Cost, prevede l’elezione di due delegati per ciascuna Regione, salvo la Valle D’Aosta, e alcuni emendamenti propongono di aggiungere anche il Trentino-Alto Adige tra le Regioni con un solo delegato. Equiparazione non accettabile oltre che dal punto di vista dell’estensione territoriale e della popolazione (Trentino Alto Adige – 1.078.746 abitanti – superficie 13.607 km2; Valle D’Aosta – 124.089 abitanti – superficie – 3.263 km2), anche perché trascura la peculiarità̀del Trentino Alto Adige, contraddistinto dalla presenza di due Province Autonome basate su una rilevante diversità etnica.
Assicurare l’equilibrata presenza dei due sessi
La proposta di legge costituzionale è in fase avanzata di discussione alla prima Commissione Affari Costituzionali e preoccupa che i firmatari si siano posti il solo scopo di non subire la riduzione del proprio peso rispetto a quello delle Regioni nell’elezione del presidente della Repubblica e che non abbiano considerato che la riduzione a due delegati per Regione farebbe venire meno l’attuale giustificata diversa rappresentanza numerica della maggioranza e dell’opposizione. È altrettanto inaccettabile che non si sia colta l’occasione della modifica dell’articolo 83, comma 2 Cost. per integrarlo con una disposizione che assicuri l’equilibrata presenza dei due sessi come previsto per le assemblee elettive dagli articoli 51 e 117 della Costituzione novellati. Tornando alla questione piùgenerale, va detto che la situazione per questo caso e altri, potrebbe cambiare se si estendessero le norme di garanzia di genere anche alle alte cariche statali e locali. La situazione attuale dimostra che le donne saranno sempre pochissime se non si va verso una gestione duale, sull’esempio dei due Capitani reggenti della Repubblica di San Marino o, ancora meglio, degli scout che esprimono tra i suoi capi una capo gruppo e un capo gruppo.
Il caso di San Marino
Dalle analisi fatte da Daniela Domenici sulla presenza dei presidenti della Repubblica e presidenti del Consiglio nell’Ue, in Europa e negli altri continenti, la Repubblica di San Marino risulta tra i Paesi europei con il maggior numero di presidenti donna pur non essendo imposta la presenza di entrambi i sessi (Presidenti e prime ministre nei Paesi europei). Il tema della presenza delle donne nelle cariche apicali èall’esame del Senato grazie al Ddl S. 1785 “Norme per la promozione dell’equilibrio di genere negli organi costituzionali, nelle autorità̀ indipendenti, negli organi delle società controllate da società a controllo pubblico e nei comitati di consulenza del Governo”. Prima firmataria Roberta Pinotti. Non sono previste modifiche alle norme nésull’elezione dei presidenti di Regione e dei sindaci né per rendere piùcogenti le disposizioni della Legge Delrio sulle Giunte che sono spesso disattese. Una lacuna che potrebbe essere colmata in sede di discussione.
Un’azione a largo raggio
Partendo dalla questione delle delegate regionali si è arrivati alla disamina di molte altre questioni ancora non risolte relative alla parità di genere. In conclusione, occorre un’azione a largo raggio e impegnativa, complessa e fortemente contrastata, come dimostra l’esperienza di questi anni. Un’azione che, come spesso avviene affrontando questioni relative alla parità di genere, dimostra la necessità di approfondire aspetti più generali riguardanti criticità dell’intero assetto democratico. Senza la parità di genere non c’è democrazia e la condizione delle donne è la punta di un iceberg di più profonde carenze e squilibri di democrazia.
* Rosanna Oliva de Conciliis è presidente della Rete per la Parità Italia
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