Le Regioni non sono un territorio per donne
di Annunziata Puglia* Pubblicato su La 27esima Ora
Sembra proprio che in Italia l’ambito regionale sia quello in cui è più difficile la realizzazione della parità di genere nella rappresentanza coniugata secondo diverse prospettive. In prossimità delle elezioni del presidente della Repubblica viene in rilievo il dato della scarsa presenza femminile tra i designati regionali ai sensi dell’articolo 83 della Costituzione. «Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta a un solo delegato».
L’elezione dei delegati regionali non è al momento ancora completata ma si prevede che la presenza femminile tra i designati non supererà la percentuale del 10%, come nelle due precedenti elezioni. Questo dato senza dubbio sconfortante e d’altra parte coerente con una realtà di rappresentanza femminile nei Consigli regionali che l’Eige (European Institute for Gender Equality) attesta per Il 2020 al 19,7 % a fronte di una presenza a livello parlamentare pari al 33,3%.
Una presidente donna
Va rammentato anche che su 21 Regioni solo in Umbria la presidente è donna. Anche nelle elezioni che nel settembre 2021 si sono tenute in sette Regioni, gli esiti per quanto riguarda la rappresentanza femminile non si discostano dal quadro generale sopra riassunto, connotato da un grave gender gap. Le consigliere elette sono state in Campania 8 su 50, in Liguria e 3 su 30, nelle Marche 8 su 30, in Valle D’Aosta 4 su 36, in Puglia 8 su 50, in Toscana 16 su 40 e in Veneto 17 su 50. Nessuna donna è stata eletta presidente sebbene concorressero per tale carica in cinque Regioni. Da sempre come Rete per la Parità, insieme con DonneinQuota, abbiamo posto particolare attenzione alla situazione della rappresentanza femminile nelle assemblee regionali spingendo e sostenendo tutte quelle di forme di intervento ( legislativo costituzionale e ordinario, giurisprudenziale e amministrativo) che, nel corso di un ventennio si sono susseguite al fine di garantire una effettiva parità di genere in sede di rappresentanza politica amministrativa.
Promuovere pari opportunità
Va ricordato come a tal fine siano intervenute riforme costituzionali (modifica degli articoli 51 e 117 della Costituzione), sentenze costituzionali e leggi ordinarie tese da una parte a sancire come principio cogente del nostro ordinamento l’obbligo di promuovere le pari opportunità per l’effettiva partecipazione delle donne alle cariche elettive regionali e dall’altro ad individuare gli strumenti tecnici che adeguassero gli ordinamenti regionali, e in particolare le leggi elettorali delle regioni, a tale principio, rendendolo effettivo. Basti a questo riguardo ricordare le mancate attivazioni da parte di diverse regioni pur dopo riforme costituzionali che avevano modificato gli articoli 51 e 117 della Costituzione e leggi quali la n. 215 del 2012 che aveva richiamato i legislatori regionali in modo più generico al rispetto del suddetto principio. Scarso il risultato della promozione della parità di accesso per donne e uomini alle cariche elettive che si era prefisso la legge del 2016, che modificando l’art 4 della legge n. 165 del 2004 alla lettera c- bis ha fissato in modo puntuale, in relazione ai diversi sistemi elettorali, le modalità secondo cui attuare il principio di pari opportunità uomo/donna nell’accesso alle cariche elettive regionali.
Alternanza di genere
Secondo tale legge «1) qualora la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedono i 60% del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima; 2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenza la legge elettorale disponga l’alternanza tra candidati di sesso diverso in modo tale che i candidati di un sesso non eccedono i 60% del totale; 3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l’equilibrio tra candidature presentate con il medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedono i 60% del totale». Anche a fronte di tale intervento puntuale la risposta delle diverse Regioni ordinarie per lo più con sistemi elettorali proporzionali con liste non bloccate, è risultata variegata, con leggi elettorali regionali che prevedono liste elettorali con pari numero di candidati dei diversi generi, altre leggi con liste in cui i candidati di un genere non possono superare la quota del 60%, leggi in cui nelle liste oltre alla completa parità tra candidati di genere diverso si prevede pura l’alternanza di genere nella relativa composizione.
Doppia preferenza di genere
Quanto alla doppia preferenza di genere va rilevato che anche l’applicazione di tale previsione ha incontrato difficoltà e resistenze fino a provocare un intervento sostitutivo da parte del governo nei confronti della Regione Puglia. Allo stato attuale le regioni ordinarie, ad eccezione del Piemonte, contemplano tale previsione nelle loro leggi elettorali. Le regioni a Statuto speciale, con l’eccezione della Sardegna, costituiscono invece un mondo a sé, in cui la doppia preferenza di genere non è ancora contemplata. Questa diversa coniugazione a livello nazionale del principio delle pari opportunità uomo /donna nell’accesso alle cariche elettive regionali comporta diversità di esiti, nelle varie regioni, nell’attuazione della parità di genere nella composizione delle assemblee regionali che, come detto, nel complesso si attesta a livello nazionale, all’insoddisfacente livello del 19,7% di consigliere regionali. Certo vanno registrati i progressi nel tempo realizzati, come l’incremento delle candidate nelle elezioni regionali, ma vanno anche considerate le resistenze e le difficoltà frapposte nelle Regioni alla realizzazione delle parità di genere nelle assemblee elettive, e ciò mediante disapplicazione ed elusioni dei principi costituzionali fissati al riguardo negli articoli 3, 51 e 117 della Costituzione.
Il governo del territorio resta “un affare da uomini”
Il terreno regionale appare attualmente quello più accidentato nella realizzazione di una rappresentanza di genere equilibrata nelle Assemblee elettive e la stretta contiguità tra territorio e assemblee regionali comporta un’incisività altamente negativa anche in termini culturali, oltre che politici, sulla considerazione collettiva del ruolo delle donne nella nostra società in generale e, in particolare, nel governo del territorio , che resta sostanzialmente “un affare da uomini”. È così dunque che assistiamo alla designazione dei “grandi elettori” regionali per l’elezione del presidente della Repubblica in cui le donne sono uno sparuto drappello senza che ciò provochi adeguate considerazioni e reazioni. Ma quale potrebbe essere l’intervento per ovviare a ciò? È necessario attendere l’incremento della presenza femminile nelle assemblee regionali o avanzare richieste immediate di correttivi che nella designazione dei grandi elettori regionali sia contemplata la necessità di assicurare una equilibrata rappresentanza di genere oltre che delle “minoranze”? E parlando di “minoranze”, come va intesa la minoranza di genere così rilevante nelle assemblee regionali?
Dati elaborati da Daniela Domenici, pubblicati sul sito Daniela e dintorni
*Annunziata Puglia è responsabile area Rappresentanza e Leadership della Rete per la Parità
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!